
Che le Giulia abbiano vinto tutto il vincibile, oggi lo sappiamo.
Non poteva saperlo l’Alfa Romeo nella seconda metà degli anni ’50; per paura di fare brutte figure, la parte sportiva del marchio fu delegata ad un’azienda esterna, con sede lontana da Milano (molto prima che i dintorni si chiamassero hinterland), con nessun richiamo nel nome e nel logo alla casa del Biscione.
Mettiamoci forse anche il fatto che né Giuseppe LURAGHI né Orazio SATTA PULIGA (allora presidente e direttore della progettazione) volevano distrarre risorse dalle macchine di serie: stava nascendo la Giulietta, si stava progettando la Giulia. Fallire con la prima avrebbe significato chiudere.
Mettiamoci che i tempi erano diversi da oggi, certo, ma non troppo.
Gli essere umani di allora non erano diversi da quelli di oggi. Accadeva, accade oggi ed accadrà ancora finché ci saranno esseri umani sul pianeta, che un modo per portare avanti un progetto è quello di allontanarlo dalle piccolezze e dalle lotte interne; quindi mandare tutto lontano era anche un modo per garantirsi che da qualche parte si andasse a parare con l’attrito minore.
Cosa c’entra l’alfabeto greco?
Nulla in sé.
I fondatori furono in due, ma quelli al vertice dell’azienda in tre: una figura con tre vertici è un triangolo.
Quindi non è vero che il motivo della scelta sia da far risalire al Quadrifoglio che campeggiava sulle Alfa da corsa; non è vero intanto perché i primi quadrifogli campeggiavano su un rombo poi divenuto un triangolo solo per via della morte prematura di Ugo SIVOCCI1 durante la prove del GP d’Europa sul circuito di Monza (1923).

Qui si trattava di una nascita, quindi richiamarsi ad una morte non era certamente nelle corde dei genitori.
No, è solo che Autotriangolo o Autotre suonava male, ma Autodelta no, tutt’altro.
Nell’alfabeto greco il delta maiuscolo è un triangolo (Δ).
E nacque l’Autodelta, e l’idea non fu di uno dei fondatori, ma del terzo vertice del triangolo…
Cos’era l’Autodelta?
All’inizio fu una snc con sede sul retro di una concessionaria Innocenti.
Divenne una SpA molto dopo, in prossimità della sua fine.
La società Auto-Delta fu costituita da Carlo CHITI e Lodovico CHIZZOLA con un apporto di capitale di 500.000 lire dell’epoca a testa, ed aveva come scopo sociale vivere dieci anni, tacitamente rinnovabili di cinque in cinque; il secondo rinnovo non fu mai necessario.
Chi era Feletto Umberto?
Non era il terzo vertice del triangolo.
Era il nome della località vicino Tavagnacco (UD) in cui sorgeva la concessionaria Innocenti di Lodovico CHIZZOLA.
Il terzo vertice del triangolo era, allora, un dipendente Alfa Romeo: Gianni CHIZZOLA.
Questo curioso caso di omonimia era in realtà spiegabile col fatto che il secondo era il fratello del primo; era il collegamento che Alfa Romeo aveva con Autodelta, e fu di fatto l’artefice sia del nome Autodelta (appunto, e con il processo creativo spiegato sopra) che della convivenza tra i due fondatori, minata dalla personalità di CHITI e dalle aspirazioni di Lodovico.
A proposito di aspirazioni
Uno dei problemi della Alfa col bialbero (come dire delle Alfa tout-court) era l’erogazione in basso.
Le bialbero erogavano in alto ma erano vuote in basso, motivo per cui andavano benissimo per la pista dove si sfrutta appunto l’intervallo alto del numero di giri motore, tollerando benissimo il fuorigiri, ma prendevano sonore scoppole dalle Lancia Fulvia Coupé (le famose Fulviette), che erogavano molto più in basso la coppia massima e pesavano molto meno.
A questo secondo problema – il peso – l’Alfa, la Zagato, la Ambrosini e l’Autodelta provvedettero col telaio tubolare, leggero e molto resistente alla torsione; ma per il primo che fare?
Un modo per esaltare l’erogazione ai regimi alti è quello di liberare lo scarico.
Sulle Giulia TZ 1600 (Tubolare Zagato – note anche come 105.112) si utilizzò il famoso 4 in 1 Alfa, come sistema di collettori di scarico, seguito da un tubo di circa dieci centimetri di diametro dritto e lungo come tutta la restante parte della macchina, che non era poi molta vista la sua architettura a motore longitudinale a cavallo delle ruote anteriori col gruppo cambio dentro l’abitacolo.
Ma per migliorare l’erogazione ai medio-bassi l’unica era avere dei condotti di aspirazione lunghi.
Alcune TZ che dovevano avere il 1600 con una buona erogazione in basso furono dotate di tubi di aspirazione lappati lunghi circa 20 centimetri.
Allora non c’era la geometria variabile nell’alimentazione; ecco a cosa serve, oggi.
Nota: perché il “4 in 1” è vincente?
Perché l’ideale, se non fosse per il peso, sarebbe avere tanti scarichi quanti sono i cilindri; ma pesano.
Allora, visto che per ridurre il peso è necessario convogliare gli scarichi, e visto che il punto di confluenza crea inevitabilmente delle criticità (reflussi, differenze di velocità, vortici, ecc.), l’unica era semplificarsi la vita, trovare un buon compromesso, ma uno.
Un 4 – 2 – 1 avrebbe creato lo stesso problema tre volte, tante quanti i punti di confluenza: da quattro a due “2 in 1”, poi i due “2 in 1” nel terminale.
Allora non c’erano le simulazioni numeriche; ecco a cosa servono oggi.
Se con questo antipasto di cui sono responsabile, errori e refusi compresi, v’è venuta fame, l’unico modo per togliervela è questo:
CHIZZOLA, Gianni – Autodelta e dintorni… Fatti, illusioni, delusioni, sogni noti e meno noti – Campanotto – Zeta rifili.
Ci troverete anche un Enzo FERRARI piccolo piccolo (e piuttosto pulciaro), una di lui moglie invadente, un Carlo CHITI che ‘un ci vede più e gira in Giulia fucsia metallizzato, e tanto materiale documentale originale.
E sopratutto ci troverete il motivo per cui la targa UD della TZ accelerò la fine della snc, l’avvio della SpA e quindi la fine dell’Autodelta.
* * *
- Alfa Romeo – Storia del marchio Quadrifoglio Verde
- Il progetto della TZ nacque come 105.10; si trattava di una macchina con motore 1300 bialbero molto avanzato, derivato parzialmente dalla Giulietta TZ; Alfa decise poi di concorrere nella categoria 1600, e si decise di usare il telaio delle 105.10 con il motore della Giulia 1600. Stesso progetto con due motori diversi fece sì che da 105.10 si passasse a 105.11 che poi fu il modello di tutte le TZ costruite.
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